Autore: P.
Gori A. Capponi Anno 1894
Lavoratori,
a voi diretto è il canto/ di questa mia canzon che sa di pianto/ e che
ricorda un baldo giovin forte/ che per amor di voi sfidò la morte.
A te, Caserio, ardea nella pupilla/ de le vendette umane la scintilla;/
ed alla plebe che lavora e geme/ donasti ogni tuo affetto ogni tua
speme.
Eri nello splendore della vita/ e non vedesti che notte infinita,/ la
notte dei dolori e della fame/ che incombe su l'immenso uman carname.
E ti levasti in atto di dolore,/ d'ignoti strazi altier vendicatore;/ e
t'avventasti tu, sì buono e mite,/ a scuoter l'alme schiave ed
avvilite.
Tremarono i potenti all'atto fiero/ e nuove insidie tesero al pensiero,/
ma il popolo a cui tutto donasti/ non ti comprese, eppur tu non piegasti
E i tuoi vent'anni una feral mattina/ gettasti al mondo dalla
ghigliottina,/ al mondo vile la tua grand'alma pia,/ alto gridando: Viva
l'anarchia!
Ma il dì s'appressa o bel ghigliottinato,/ che il tuo nome verrà
purificato,/ quando sacre saranno le vite umane/ e diritto d'ognun la
scienza e il pane.
Dormi, Caserio, entro la fredda terra/ donde ruggire udrai la final
guerra,/ la gran battaglia contro gli oppressori, la pugna tra sfruttati
e sfruttatori.
Voi che la vita e l'avvenir fatale/ offriste su l'altar dell'ideale,/ o
falangi di morti sul lavoro,/ vittime de l'altrui ozio e dell'oro,
Martiri ignoti, o schiera benedetta,/ già spunta il giorno della gran
vendetta,/ de la giustizia già si leva il sole:/ il popolo tiranni più
non vuole.
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