Autore: G.
Marini
Anno: 1970
L’Italia
in lungo e in largo quest’anno ho attraversato: al Nord il benessere
è davvero disperato, al Sud ti
colpisce
l’improvvisa sensazione di essere piombato in un’altra dimensione.
L’Italia è tutta come un grande monumento mezzo di terra e mezzo di
cemento; nel cemento gli uomini stanno infilati come
nel girone degli stupidi beati, non
fanno più risalto, coperti dallo smalto, mentre
nella terra si articolano ancora, anche se mangiati, corrosi e consumati
come
i fichi sull’albero quando hanno le api dentro, anche se sanno che
ogni movimento può portarli a finire dritti nel cemento. « Bella cosa,
signora »,
mi
diceva un omone
sul
treno che correva verso Agrigento, «
la
buona famiglia, l’educazione e il nome; questo
fa che per forza fa moneta cascherà con la testa di qua e con la croce
dillà mi
permetta, sono il barone Barillà »:
poggiava su una grande valigia accovacciato, un piede sulla porta della
ritirata, una mano aggrappata al ferro del corridoietto: pareva un
moderno crocefisso in un. diretto. «
Qui
non è questione di danaro, signora, qui è solo questione di
predestinazione '>.
il
treno rallenta: Agrigento stazione. In Romagna si gioca a briscola e a
scopone. in Toscana c’è la tombola del sabato sera: «
Noi
fatichiamo qui al settentrione, se l’Italia qui finisse noi staremmo
henone; vede, uno si sente come sistemato e anche se non è proprio come
voleva, ora
si accorge con
soddisfazione che c’è chi non ha i soldi manco per mangiare, mentre
lui al cinema ogni giorno ci può andare; e creda pure a me, cara la mia
signora, anche se si sente, come dire, un po’ costretto pensare a
questo fa dimenticare ogni dolore »,
diceva
intoppando un coltivatore diretto; mentre mi parlava era in un bagno di
sudore, per la gran fatica la sua voce era in falsetto, non trovava le
parole; finalmente ha detto: «
Sa,
sono concetti difficili da spiegare. mi deve capire, io non ce la posso
fare ».
A
Bologna, finalmente, trovo un posto a sedere; un canuto, bianco,
irascibile signore parla dando grandi pacche dottrinali sulle gambe
accavallate di
un giovane occhialuto che
lo ascolta con orecchio riverente ed evoluto; i
militari
dormono e cascano in avanti, il
vecchio continua, osceno e vociferante: «
Cos’è
la differenza fra teoria e sistema? »,
l’altro
lo guarda proprio entusiasmato, «
ci
credi, gli studenti non me lo sanno più dire, io
mi domando: dove andremo a finire? »
Siamo
in alto mare,su
una nave che vola sicura:la guarda il capitano: col berretto e in mano
il canocchiale tiene lontano il male; la ciurma dorme, l’uomo veglia
al timone, la stella polare non smetrerà più di brillare: ogni
mattina, al levarsi del sole, la ciurma prepara il rito vitale per la
giornata: il capitano sta sul ponte, fermo come una statua e guarda lontano
col
canocchiale in mano; la ciurma, prendendosi per mano, compie un gran
giro attorno al capitano e guarda fisso il sole fino a quando non lo può
più sostenere:
Sono
soli
nel mare, sono soli nel mare; poi, con gli occhi vuoti di luce e
pieni
di grandi cerchi neri,
sempre
guardando lontano, toccano il capitano, il berretto, le vesti, la mano;
infine buttano un uomo in mare. uno di loro scelto a sorte ogni sera
prima di dormire: questo tiene lontano la tempesta. favorisce
un‘abbondante pesca; il capitano lo guarda affogare tenendogli le mani
sulla testa, la ciurma assiste poi va a lavorare,
il
capitano dà ordine di fermare, buttano l’ancora e la nave dondola
pian piano, scendono con le barche che incomincia a crescere il sole,
affondano le reti in mare, la sera ritornano alla nave e tirano a sorte
per sapere chi è quello che deve morire per garantire una giornata
uguale a quella passata: sono soli nei mare, il capitano, con il
berretto tiene lontano il male. tiene lontano.,,
Nella
ciurma c’è un ragazzo giovane,
bello
e bruno, lava il ponte, non va a pescare, non e abbastanza forte, ma
ogni sera quando tirano a sorte sta a guardare e lo sa che un giorno a
lui toccherà di essere buttato in mare: ha perso il respiro, questo
pensiero no, non lo lascia ormai più campare e parla forte nella nave
della morte. non lascia dormire più nessuno: Così non posso vivere,
aspettando ogni giorno di morire, non ce la faccio. no »:"
Aspetta
»,
dicono
gli altri, «
presto
a
lavorare incomincerai. sarà
naturale, vedrai, e reti in mare butterai, e alla nave al mattino
tornerai, la mano al capitano toccherai, toccherai le vesti e il
canocchiale, I ‘affanno di questi giorni perderai, non ci pensare,
vedrai:invece lui ci pensava spinto dalla paura ed alla sera con
l’aria pura decise di fuggire, chiamò piano il vecchio, il suo amico
pio caro senza il quale proprio non sapeva stare: «
Parto,
vieni con me, andiamo a cercare un posto nel mondo dove non si debba più
morire per vivere e vivere per morire ».
«
Resta
»,
rispose
il vecchio, «
non
puoi cambiare
quanto
è naturale, prima o poi tocca a tutti noi ».
Il
giorno dopo il capitano lo
mandò a chiamare per
poterlo iniziare a lavori di mare, il ragazzo andò con gli altri a
compiere il rito e si sentì d’un tratto rassicurato: era
svanito in un
momento tutto il dolore accumulato dentro, la paura e il rimpianto erano
svaniti come d’incanto; una sera al ritorno cercò il suo
vecchio amico e non lo trovò più: la sorte era toccata a lui, chiuso
in disparte si preparava alla
propria morte. Il giovane bello
e bruno e rassicurato si svegliò
come
da un lungo sonno malato e il vecchio terrore gli ritornò tutto nella
mente e nel cuore di colpo si /
decise
e se/nza più
ragio/nare corse! nella
cabi/na foderà/ta di vellu/to: il capita/ no era lì con /
il
capo po/ggiato sulla /
mano, dormiva
nella poltrona coi braccioli d’o/ro, il giovane bello e bru/no gli
strinse le
mani
forti attorno ai
col/lo finché lo sentì freddo per la mo/rte, poi tolse le vesti al
capitano, le indossò e di mano gli prese il canocchiale che tiene
lontano il male; era mattina, andò sul ponte, sulle spalle il capitano,
io calò nel mare tenendogli le mani sulla testa, poi fermo, sempre
guardando lontano, sentì la ciurma prendersi per mano, compire il largo
giro, guardare fisso il sole, toccare il canocchiale che tiene lontano
il male, quella sera a
un altro toccò
in sorte la morte; il ragazzo con le
vesti del capitano nella
cabina foderata di velluto attese invano un altro giovane forte
e bruno che
lo stringesse fino a farlo morire e
al mattino lo buttasse in
mare,
lo buttasse in mare.
Al
Sud c’è il rituale che fa accettare la
miseria, la fame, la disoccupazione, al
Nord il rituale che fa accettare il padrone: è
un rito nuovo ma nella sostanza eguale. Canto la canzone
del morto nel cantiere e
penso a quel signore alla televisione, con
l’occhio smorto e con il doppio mento, padrone
di non so quale stabilimento:
«
Certo,
è un peccato, questa alta percentuale di
morti sul lavoro riduce il personale, bisogna acquistarne di nuovo e
vale meno, dev’essere istruito, informato e preparato,
mentre quello morto ormai era addestrato; certo, è una perdita, certo,
sicuro, bisogna che muoiano di meno sul lavoro, bisogna
che muoiano di meno sul lavoro C’è
in Calabria una bambina coi sarcoma, la
madre ha risparmiato sulla fame, la madre ha risparmiato sulla fame per
la lapide che ha fatto già intarsiare e il lenzuolo ricamato per la
bara e il lenzuolo ricamato per la bara; gira di notte con la bambina in
collo, che sono mesi che ha smesso di dormire e insieme se ne vanno
incontro al sole, che ogni mattina tarda di più a salire; il rito costa
soldi e sudore, ma
accontenta i nostri pianti, giriamo
attorno al capitano e invocando la morte poi moriamo; quanto dolore
stupido e crudele accettiamo che potevamo evitare, abituati come siamo
ad accettare e per non morire farci buttare in mare, e per non morire
farci buttare in
mare,
e
per non morire
farci buttare in mare.
Italia,
quanto sci lunga, Italia, quante chiese: sembri dire: «
Ogni
scherzo vale »,
per
non farti troppo male. Italia,
quanto sei lunga, Italia, quante chiese!
Gran
bel paese! »,
dice
in piedi davanti al finestrino un contadino costretto ad emigrare;ha due
figli in Germania con la sorella e due al
paese
con il fratello,il più piccolo lo porta con sé a Zurigo nelle bianche
baracche di ferro
smaltato, la
moglie sta a cottimo da cucitrice, il bambino lo tiene una vicina a
pagamento; “Solo per vedre una volta l’anno la famiglia riunitaa per
un momento, i miei pochi soldi se ne vanno; passo la vita per un ideale
che dovrebbe essere naturale; ma perché in questa bella terra nostra .1
noi
maledetti non ci fanno stare? io non ho fatto niente di male, ma
perché proprio a me è
toccata questa sorte? io
non ho fatto niente di male,
ma perché sono nato maledetto fino alla morte? io non ho fatto niente
di male, ma perché proprio a me è toccata questa sorte?
In
quel pezzo che corre tra Pesaro e Forlì sono appagati, silenziosi; come
una chioccia la cooperativa fornisce, dispensa, regola e controlla, ma
gli sguardi dei braccianti restano opachi, curve le schiene dei
coltivatori diretti; a vederli piegati con le carte in mano viene da
pensare: «
Poveretti!
»,
a
vederli piegati con le carte in mano viene da pensare: «
Poveretti!
».
Allegria,
allegria! »,
strillava
l’ottimistico altoparlante di una giardinetta
nelle
strade deserte di Cesena, all’alba che seguiva i tragici fatti
di Avola: il
giornale con testata nera cubitale diceva «
lutto
nazionale »,
tutti
chiusi in sezione a ciclostilare manifesti e volantini per deprecare, ma
all’alba, nella nebbia della città
deserta, gracchiava
tenace la giardinetta: «
Allegria,
allegria, tutti a ballare! era la Casa del popolo, naturale, che doveva
rifare i suoi novanta milioni di
sala da ballo con illuminazione, doveva rifare i suoi novanta milioni...
In treno un militare con gli occhi marroni mi
offre i dolci fatti col vino; viene da Nuoro, viaggia da ore, va a
Trieste militare: «
Noi
»,
dice
piano, «
siamo
italiani solo per le tasse o fare il militare »...
«
Vai
al
Nord a lavorare »,
interrompe
un siciliano con un gran vocione, (<lavori
quindici ore, ti
pagano di meno, c’è
gente pagata per pianificare sulla
nostra fame e poterci speculare; tutto hanno previsto, ma io vi dico
questo, tutto hanno previsto, ma io vi dico questo: un giorno
si/sveglieranno che/il sole sarà lontano e noi avre/mo una terrm/bile
fo/rza in mano, non sentire/mo il freddo, già/smorti co/me siamo;
allora pia/ngeranno, me/ ntre noi cammineremo sui loro fre/ddi corpi fo/derati
di/velluto e imbotti/ti di stufa/to, piangeranno e noi diremo: sopporta/te
il vole/re del Signore, perdonate chi vi offende, fate buon viso, la
ricompensa è in paradiso. Così dire/mo e crescere/mo e crescere/mo di
peso e
avremo i fi/gli be/lli, bio/ndi, ricciuti e
la matti/na andremo a la/andremo a la/vorare e con la mo/glie devo/ta a
casa a cucinare; quand’è la se/ra con la carni/cia appe/na lavata
andremo a fa/re i quattro pa/ i quattro pa/ssi in paese, salutere/mo e
ci fare/mo e ci faremo salutare; la
sera all’o/steria, do/po la partita a scoponc, guardandoci/le mani
chia/meremo il ca/meriere e con la vo/ce forte po/tremo offrire da
bere, guardandoci/le
mani chia/meremo il ca/meriere e con la vo/ce forte po/tremo offrire/da
bere. Un giorno si sveglieranno che/il sole sa/rà lontano e noi avre/mo
una terri/bile forza in mano, non sentire/mo il freddo, già/smorti come
siamo; allora pia/ngeranno, me/ntre noi cammineremo, allora pia/ngeranno,
me/ntre noi cammineremo ».
Siamo
arrivati: «
Addio
compare! »,
vado
alla casa del popolo a cantare, questa sera non si balla per colpa mia,
c’è un’atmosfera di carestia, non dibattono, scappano: non sì può
sapere cosa ci può venire in mente di dire: finire bollati per sempre
da cinesi sono
scherzi da
preti, proprio in questi paesi. Diocan! signore, fate presto a uscire:
chi è quell’incosciente che ha intoppato la porta? permesso,
permesso, fate passare sono un lavoratore, devo andare a dormire, sono
un lavoratore, devo andare a dormire ».
Penso
a Cagliari, dove i lavoratori hanno passato sette notti di fila a
discutere, parlare delle lotte (la organizzare; penso in Sicilia, che
volevano imparare tutte le canzoni «
perché
possono servire in
Puglie che di notte incontro un ragazzetto visto prima a teatro:«
Ancora
in giro, non vai a dormire? ».
«
Vado
a lavorare, di giorno ho da fare il lavoro politico e la scuola serale »e
finalmente mi viene da dire:ma allora è proprio vero che ci vuole la
farne, lo spettro della morte per lottare? niente da perdere, questo ci
vuole, niente da perdere, questo ci vuole. È arrivato il papa a
sant’Elia, circondato è arrivata l’Italsider nel meridione, schiaccia
una cultura, sfrutta una situazione: niente
è cambiato, da bracciante affamato passi intanto a operaio
sfruttato,
niente è cambiato, niente è cambiato. niente è cambiato, niente è
cambiato!
Siamo
in Romagna, comincio a cantare: pochi e distratti, non stanno a sentire:
allora dico: .
Che ci state
a fare?.
.
Compagna., mi risponde
un
vecchietto risentito, ~ e
io
sono qui per disciplina di partito.. i -Allora
è proprio
vero che
ci vuole la fame. lo spettro della morte per lottare? niente da perdere.
questo ci vuole. niente da perdere, questo
ci
vuole.
Il
corteo si muoveva lentamente. quelli
in testa si voltano per dire lo slogan deciso da strillare, e tutti
insieme
aprendo la bocca: .
Il diritto di sciopero non si tocca! il diritto di sciopero non si
tocca! a;
ma
quando alla coda è arrivato per la strada s’era cambiato:
e
Diritto
o non diritto lo sciopero non si tocca.. era mano a mano
diventato. e
diritto
o non diritto lo sciopero
non
si tocca:
così s’era lo slogan
trasformato.
C’è
a Giulianova una donna senza latte. il bambino le muore di fame, così
con un’amica fanno la fattura a un’altra donna, che ci ha la
creatura bella e grassa di qualche mese e il latte che le corre da
buttare. e insieme si mettono a cantare: e
Creatura,
creatura de lu Signore, ti
guardo a
lu mattine e questo latte che ci dai a lo tue bambine da oggi, domani e
sempre non ce lo puoi cchiù dare; vieni latte da me. lassa la donna
moti, vieni latte da me farmi signora. Vieni latte da me. lassa la donna
mira. vieni latte dia me farmi signora .
Invece
di
rubarci
il latte fra di noi, facendo un gran giro attorno al capitano, perché
non giriamo attorno alla centrale» che almeno il soggetto sia un po più
diretto? A
Canosa
un vecchietto mi canta questa canzone: Guarda la ragazza, quella che
vuoi pigghiare, metti la sausizza, mettila ‘nt’a lu pane, cosi ti
vede
ricco, ti
vede
gran signore, nctti la camicia come lo tuo padrone. Guarda la ragazza,
quella che vuoi pigghiare, inetti la sausizza, mettila ‘nt’a iu
pane, così ti
vede
ricco, ti vede gran signore, inetti la camicia come lo tuo padrone ».
A
Gonzaga c’è l’accelerato sgangherato, sale una donna con due
bambini, vede la chitarra, chiede della Daffini; proprio
l’anno scorso c’era il suo funerale. Dietro l’argine del fiume un
po’ di qua e un po’ di là e davanti noi in due file un po’ di qua
e un po’ di là c la bara con il prete un po’ di qua e un po’ di là
i
nipoti,
i figli e il marito un po’ di qua e un pò di là c i
compagni
del partito un po’ di qua e un pò di là le orfanelle delle suore un
po’ di qua e un po’ di là le corone con i fioriun po’ di qua e un
pò di là; di/ce il prete: «
Accogli,
Signore, I anima della tua
serva Giovanna Mai
fatto
la
serva a nessuno »,
dice
il marito. «
Taci
papà, non vuoI dire niente, c una pura formalità »,
dice
il figlio emigrante.
E
una pura formalità che si fa un po’ di qua, un po’ di là. E una
pura formalità che si fa un po’ di qua, un
po’ di là. Certo,
si sa, ma
non è vero che non vuoi dire niente, vuoi dire secoli di miseria, di
morte e di dolore, accettati come se fosse una cosa naturale, una pura
formalità che si fa un po’ di qua, un po’ di là, una pura formalità
che
si fa, ma
finché un gioI rno cambierà.
Quel
giorno ci/sveglieremo che/il sole sa/rà lontano e
noi avre/mo
una terri/bile fo/rza in mano, non sentire/mo il freddo, già/smorti co/me
siamo, e allora pian/geranno, men/tre noi cammineremo. Quel giorno
ci/sveglieremo che/il sole sa/rà lontano e noi avre/mo una terri/bile
fo/rza in mano, non sentire/mo il freddo,
già/smorti come siamo, allora
piange/ ranno, men/ tre noi cammineremo, allora
piange/ranno, men/ tre noi cammineremo, allora piange/ranno, men/tre noi
cammineremo.
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