Il parlamento

Autore: F. Amodei    Anno: 1968 

Tutti in doppio petto scuro, tutti quanti con cravatta grigio-perla,
l'assemblea dei deputati, vi assicuro, val la pena di vederla;
ciascheduno ci ha alle spalle il quorum di cinquantacinquemila voti
che li spinge a celebrare i riti democratici da sacerdoti.
Non esiste il mondo esterno, non ci sono più quei trentadue milioni
con i quali si parlava di riforme oppure di rivoluzioni;
ci son solo più le giunte, con le commissioni e gli ordini del giorno,
come in una gabbia d'oro che non si osa aprire per guardarsi intorno.
Ma c'è il paese reale,
fuori da quest'aria fritta,
che senza delega orale
e senza delega scritta
combatte in prima persona,
perché si sente ormai pronto
a cambiar per proprio conto
i rapporti di proprietà.
Quando accade in una fabbrica che un operaio viene licenziato perché ha fatto propaganda presso i suoi compagni o perché ha scipoerato,
chi sta dentro il Parlamento può magari fare un'interrogazione,
anziché dargli una mano a dare un calcio nel sedere del padrone.
Quando c'è la polizia che mena manganelli in testa agli studenti,
poi c'è la magistratura che te li condanna come delinquenti, si fa su un'interpellanza ai sensi delle norme già ratifivate, anziché scendere in piazza e stare al loro fianco sulle barricate.
Però studenti e operai,
ignari del protocollo,
senza redigere mai
domande in carta da bollo,
lottano in prima persona
sui posti di lavoro,
per cambiar per conto loro
i rapporti di proprietà.
La democrazia borghese ha un vecchio trucco, che consiste essenzialmente
Nel chiamare democratiche solo le norme che non cambian niente
E nel consentire al popolo di usare solo quelle istituzioni
Che rafforzano di nascosto, o almeno non infastidiscono i padroni.

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